Recensione: Fortuna di Nicolò Govoni
Trama:
In fuga da un’Europa al collasso, Hans, Juju e Nonna affrontano mille pericoli fingendosi una famiglia: una donna anziana e i suoi nipotini, in realtà tre estranei che lentamente imparano a tenersi per mano. Quando raggiungono Truva, la “Città della Speranza” – un gigantesco campo profughi in cui il potere è gestito dalla piattaforma online Fortuna – ricevono anche loro, come tutti gli ospiti, una tenda e un dispositivo elettronico. Niente cibo o vestiti, quelli te li devi guadagnare: ognuno è artefice del proprio destino, e nel campo la ricchezza si costruisce postando. Chi accumula più like e follower ha accesso privilegiato agli aiuti umanitari; i meno popolari si accontentano delle briciole. Mentre Hans lotta con i fantasmi del passato e la cinica Nonna cerca con ogni mezzo di procurarsi visibilità, è Juju a domandarsi che senso abbia un mondo in cui ci si salva solo a spese degli altri. Dentro di lei si nascondono uno spirito da leader e i semi della rivolta, ma dovrà imparare a credere in se stessa per alzare la voce e ritrovare – per gli abitanti di Truva e per quel bizzarro trio che chiama famiglia.
Considerazioni:
Fortuna di Nicolò Govoni immagina l’Europa in ginocchio da cui milioni di persone scappano alla ricerca di un futuro migliore. Hans, Juju e Nonna sono i tre protagonisti del romanzo. Si fingono parenti, una nonna e due nipoti, e con il tempo diventano una vera famiglia. Truva è la “Città della Speranza”, un mega campo profughi in territorio turco, gestito da una piattaforma online chiamata Fortuna. Gli aiuti umanitari come il cibo, il vestiario e tutto il necessario per vivere vengono gestiti tramite il numero di like che i profughi ottengono dalla galassia di benefattori esteri che li guardano e li premiano per i loro post. Fortuna è un romanzo che ti entra dentro, sedimenta e ha il potere di smuovere la parte più profonda di ognuno di noi. Lo stomaco si contorce fino all’ultima riga in continui colpi di scena. Il dolore e la speranza, l’affetto e i tradimenti sono il sale su cui si costruisce la vicenda dei tre personaggi. E’ un’opera di finzione ma vera: è il frutto di anni passati con i più vulnerabili nei contesti più dolorosi del mondo. L’autore ha deciso di impugnare la penna perché raccontare le storie nella bulimia della narrazione moderna non ha più senso: è necessario viverle, entrarci dentro con il cuore e con la testa. Hans, Juju e Nonna ci mostrano come essere un migrante significhi sin dal primo momento dover accantonare la propria storia e provare la propria innocenza. Dietro ogni migrazione c’è la disperazione ma non solo: c’è la voglia di vivere, il coraggio di mollare tutto e di spingersi con tutte le proprie forze verso l’ignoto e c’è una grande immaginazione, quella che permette di vedere un futuro quando tutto intorno sembra ormai impossibile. Truva, la città perfetta dove ognuno è artefice del proprio destino è una società gerarchica. I pregiudizi e le prevaricazioni sono il pane quotidiano con cui confrontarsi. Chi non segue le regole della comunità viene emarginato. L’asilo internazionale viene basato su un sistema di oppressione e controllo che viene accettato, in maniera inconscia, dagli stessi richiedenti asilo. Le persone finisco per amare le proprie catene e per giocare alle regole di un gioco che credono fare il loro bene. Non tutto però è deciso. Migrare toglie al profugo la fiducia nell’altro ma un futuro migliore deve essere pur possibile, altrimenti non ha senso continuare a vivere. I tre protagonisti cercano quindi di minare il sistema dall’interno e offrire una possibilità diversa rispetto a quella libertà fasulla propugnata da Fortuna. I benefattori, con i loro like elargiti comodamente dagli smartphone guardano con un senso di superiorità agli ospiti di Truva. Concedono ai profughi una benevolenza come dono e non come pari portatori di diritti. Hans e Juju sono come i loro coetanei, bambini cinici e disillusi che hanno conosciuto solo sofferenza e delusione e che sono alla mercé delle volontà degli adulti. Fortuna ci induce a riflettere sul tema dell’asilo internazionale ma anche della concezione della libertà. Siamo sempre liberi di scegliere, o siamo intrappolati dentro una narrazione che ci fa sentire artefici del nostro destino? Viviamo in una società dove ci spaventa ciò che non si conforma e dove le nostre paure sono i confini delle nostre azioni. E’ davvero possibile esercitare il libero arbitrio in questo modo? Tra le righe possiamo leggere l’urgente necessità di guardare oltre l’etichetta del profugo: il bisognoso. Si tratta di persone come tutte le altre, con sogni e aspirazioni, passioni e dolori. Questo non può essere un motivo di condanna e criminalizzazione. Perdere tutto e scappare non può essere una colpa e ognuno deve avere il diritto di scrivere il proprio destino. Fortuna è un romanzo da leggere. Si vive con i personaggi, si soffre con loro, si spera e si rimane in apprensione. E’ la storia di ciò che ci circonda e che potrebbe essere la nostra se solo fossimo nati in una parte diversa del mondo.