Recensione: Abbandonare un gatto di Murakami Haruki
Trama:
Nei suoi romanzi e racconti Murakami ha creato un’infinità di mondi, e ne ha svelato ogni segreto ai lettori. Ma c’è una dimensione in cui la sua penna non si è quasi mai avventurata: la sua vita. Con Abbandonare un gatto, Murakami scrive per la prima volta della sua famiglia, e in particolare di suo padre. Ne nasce un ritratto toccante, il racconto sincero del «figlio qualunque di un uomo qualunque». E forse proprio per questo speciale. A tradurre in immagini questo delicato racconto autobiografico, le invenzioni di uno dei più importanti illustratori contemporanei, Emiliano Ponzi, che con i suoi colori aggiunge poesia alla poesia in un’edizione unica al mondo.
Considerazioni:
“Abbandonare un gatto” è un racconto intimo e personale. Murakami ricorda la figura di suo padre, nel delicato tentativo di comprendere e sentire più vicina, la figura del genitore, ormai, scomparso. In una prosa intensa ma priva di note drammatiche, l’autore ripercorre con lucidità la vita di un uomo qualunque, con le sue ferite, e la dolorosa esperienza della guerra che lo segnerà per sempre. Emerge dalle vivide parole di Murakami, come un figlio anche senza conoscere tutte le vicende dei propri genitori, possa sentire il dolore che hanno provato nel corso degli anni, percependolo nelle fugaci espressioni malinconiche che alternano una serenità e un’allegria mai forzate. Il pretesto per raccontare il rapporto di un padre con il proprio figlio, è quello dell’episodio del tentativo di abbandonare la gatta di famiglia incinta, che ritorna nella mente proprio quando il padre viene a mancare. Il racconto è molto breve, pochissime pagine dense di sentimenti vissuti, di emozioni condivise, rese in maniera puntuale, senza mai appesantire. La guerra fra Cina e Giappone, con il suo strascico di violenza, morte e miseria, strappa il padre dalla sua formazione religiosa, e dal suo intenso percorso di studi, restituendolo salvo ma profondamente cambiato. Murakami, trae spunto da questa vicenda per indagare la casualità della vita. Si chiede infatti cosa sarebbe successo se il padre avesse potuto continuare la sua formazione, se non avesse conosciuto la moglie, se la guerra non fosse mai scoppiata o se fosse morto sul fronte. Tutti noi, siamo quindi il frutto del caso più che di un destino personale, già scritto. L’autore, poi, ci dona una riflessione preziosissima sulla storia, che non viene intesa come qualcosa di passato e finito, ma qualcosa di vivo, che continua ad esistere e a svilupparsi nelle generazioni successive, come un frammento, che condiziona poi ogni esistenza. Scorrendo le pagine, si percepisce il senso di colpa di un figlio nei confronti di un genitore, quando crescendo sente di deludere la propria famiglia solo perché sviluppa la propria personalità e le proprie inclinazioni, entrando in conflitto con le aspettative che su di lui erano riposte. I rapporti possono deteriorarsi, come nel caso dell’autore, fino a non sentirsi e vedersi per anni. Tuttavia, non c’è una critica al rapporto genitori-figli ma il tentativo di comprendere con indulgenza entrambe le posizioni.