Recensione: Schiavi della solitudine di Patrick Hamilton
Trama:
Inverno 1943, provincia inglese. Alle Rosamund Tea Rooms, ex sala da tè riconvertita in pensione con pretese di signorilità, alloggia un gruppetto di ospiti fissi i quali, al riparo dai bombardamenti che minacciano la capitale, conducono un’esistenza scandita da poche, monotone occupazioni e dal rintocco di un gong alle ore dei pasti. Tra vedove ipocondriache, attempate signorine divoratrici di biografie storiche ed ex teatranti ormai lontani dalle scene, spicca Miss Roach, nubile e non ancora quarantenne impiegata tuttofare presso un editore londinese. Lontano dal conflitto che incendia l’Europa e si manifesta al più nelle stentate conversazioni tra gli ospiti – oppresse dai boriosi sproloqui di Mr Thwaites, stentoreo pensionato dalle malcelate simpatie naziste –, la minutissima vita di Miss Roach potrebbe scorrere così placida da sembrare normale, fino al sorgere dell’inatteso flirt con il tenente Pike, bizzarro ufficiale americano stanziato nei pressi, e dell’amicizia con Vicki Kugelmann, profuga tedesca simile a lei per età e condizione, ma ben diversa per carattere e modi. L’incontro fra Miss Roach, Vicki e il tenente darà vita a un curioso triangolo, che non sarà mai davvero amoroso e che anzi la costringerà a misurare tutto il peso della propria solitudine e a patire l’offesa dell’insincerità. Ma chi ha imparato a valutare se stesso e il prossimo con onestà e compassione, pare dirci questo romanzo, riuscirà a costruire un suo finale, realisticamente lieto senza essere stereotipato.
Considerazioni:
Il titolo, schiavi della solitudine, ci dà modo di capire sin dall’inizio quale sentimento prevarrà all’interno della storia. Siamo in Inghilterra nell’inverno del 1943, e un gruppo di ospiti alloggia alla pensione Rosamund Tea Rooms, per ripararsi dalle bombe che cadono nella capitale. Qui abbiamo modo di conoscere vari personaggi che animano il racconto; esponenti di classi sociali diverse che si ritrovano a convivere e condividere questa nuova quotidianità, scandita dalla paura, dalla confusione e dall’incertezza generate dal conflitto. L’autore con ironia, cinismo e durezza ci presenta un quadro peculiare della società dell’epoca. La guerra cambia la percezione della vita e grazie alla sua prosa irriverente e per niente scontata, Hamilton ci rivela mediante una schiettezza disarmante la società per quello che è. La narrazione presenta un ritmo lento che non aiuta il lettore a immergersi completamente nella storia e la scrittura di Hamilton per quanto si possa notare una certa poetica, non riesce a rapirti. I personaggi ricorrenti come Miss Roarch, Vicky kungelmann e Mr Thwaites meglio rappresentano l’animo della storia: solitudine, odio, amore, paura, cattiveria, superficialità. La monotonia all’interno della pensione viene spezzata dall’arrivo del tenente americano, un personaggio ciarliero, gioviale, che porta freschezza e voglia di vivere da un lato, rabbia e gelosia dall’altro. Mi sono molto immedesimata nella giovane ed ingenua Miss Roarch che viene costantemente attaccata da più fronti per via del suo aspetto poco affascinante e del suo lavoro. Il tenente americano che tenta invano di avere un rapporto più intimo con lei sembra quasi darle modo di uscire dal suo guscio ma allo stesso tempo acuisce le sue insicurezze. Per quanto anche gli altri facciano parte del racconto l’animo trainante è quella della giovane miss, che alla fine ha modo di riscattarsi dalle cattiverie subite nel corso della sua vita e durante il soggiorno alla pensione, riuscendo così, anche a trasmetterci una certa pace e un certo grado di speranza.
Non è un libro che consiglierei a tutti. Se siete affascinati dai classici e vi piace una prosa raffinata e poetica allora questo libro fa per voi.
Ringrazio la Fazi editore per la collaborazione.